L’ECO DI DON BOSCO N. 6/2021 – ANNO CIV
25 Marzo 2021
Genova e il progetto di Don Bosco
1. Ruolo di Genova
Il nostro Padre Don Bosco realizza il suo “sogno” a Torino, lo estende all’intero mondo da Genova, a Roma trova l’avvallo e la paterna benedizione del Santo Padre. Nel centenario della presenza salesiana a Genova il VII Successore di Don Bosco, Don Viganò, ai giovani dell’Oratorio che l’avevano accolto col canto “Tu sei Don Bosco amico nostro/amico della gioventù”, rispondeva: “Sampierdarena e Genova sono la piattaforma di lancio della vocazione di Don Bosco verso i Continenti. Egli è un gigante grande. Andate in America, in Africa, in Asia, in Australia, in Oceania, in tutte le nazioni d’Europa e troverete la presenza di Don Bosco, dei suoi figli e delle sue figlie, dei Cooperatori e degli Ex allievi ( …) Avrebbe potuto essere il fondatore della FIAT, avrebbe potuto diventare un grande industriale, oppure un uomo di scienza. Ha scelto di amare i giovani, stare con loro, aiutarli a diventare uomini autentici. Don Bosco è un regalo di Dio per noi. (1)
Genova diventa essenziale per il diffondersi del suo Sogno. Senza Genova, o meglio, senza i genovesi (vescovi, sacerdoti, famiglie aristocratiche, popolo) Don Bosco così come lo conosciamo non ci sarebbe.
Non vuol essere una battuta!
In particolare tre vescovi di origine genovesi resero possibile la realizzazione del “sogno salesiano”. Genovese è anche Benedetto XV che conobbe Don Bosco da come lo ricordava la mamma. Sarà il Papa che, nel 1915, creerà cardinale il primo vescovo salesiano Monsignor Cagliero. Genovese era pure l’arcivescovo Lorenzo Gastaldi che – al di là delle ragioni come pastore della diocesi di Torino – di fatto fu un ostacolo all’opera del Santo. Eppure anche Mons. Gastaldi doveva a Don Bosco la nomina alla sede di Torino. Lasciamo agli storici il giudizio sul conflitto tra disciplina diocesana e il carisma di Don Bosco.
Accontentiamoci qui di constatare che, dal 1871 al 883, Mons. Lorenzo Gastaldi di fato tentò di tagliare le ali al sogno del Santo … che trovò accoglienza a Genova da Mons. Magnasco.
2. I tre vescovi genovesi sul cammino di Don Bosco
All’aurora dell’Oratorio troviamo Monsignor Fransoni. Al tramonto dell’attività del Santo il cardinale Alimonda sarà l’angelo consolatore. Nel pieno meriggio l’opera dal ciel voluta sarà sostenuta con forza da Monsignor Magnasco.
2.1. Mons. Fransoni
Fonte del nostro raccontare sono le Memorie biografiche di Don Bosco. Che hanno in Don Lemoyne la memoria storica che ci appartiene.
Mons. Fransoni fu il più valido sostegno agli inizi dell’Oratorio di Torino. Era nato a Genova nel 1789 da nobile famiglia. A 25 vestì l’abito talare. Appena sacerdote si diede al catechismi popolari, alla predicazione come missionario rurale, ed al ministero delle confessioni . Con grande sacrifici percorse molti paesi della Liguria . Prima vescovo di Fossano, nel 1832 fu eletto Arcivescovo di Torino. Non esitò a prendere posizione a difesa dei diritti della Chiesa nelle varie ondate liberali che operavano in Piemonte e in tutta la Penisola. Per questo fu incarcerato nella prigione della cittadella di Torino, poi nella fortezza d Finestrelle in Val Chisone, infine esiliato a Lione ove morirà da esule nel 1862.
Scrive don Lemoyne: “Era il padre, l’amico, il confidente che il Signore ha destinato a Don Bosco, perché gli desse protezione efficace nella prima fondazione delle sue opere”. (2)
Don Bosco ebbe il primo segno di stima e di affetto nel 1841: Mons. Fransoni gli concesse di anticipare l’ordinazione presbiterale. Il Santo nello stesso anno inizia l’Opera dell’Oratorio. Ma il sindaco di Torino, Marchese Benso di Cavour, padre di Camillo di Cavour, ingiunge a Don Bosco di chiudere l’Oratorio e licenziare i giovani perché ritenuti pericolosi vagabondi. Il sindaco fa ricorso al vescovo, ma Mons. Fransoni appoggia coraggiosamente Don Bosco.
Le Memorie Biografiche narrano vari aneddoti che segnalano la bontà dell’arcivescovo per i giovani dell’Oratorio. Si racconta che la Cappella Pinardi, la prima chiesa dell’opera nascente, era tanto bassa che il vescovo salendo sul pulpito toccava con la mitra il soffitto. Egli allora togliendosela scherzosamente disse: “Sono davvero giovani da rispettare quelli di Don Bosco, se bisogna parlare loro a capo scoperto”.
Alcuni parroci di Torino pensarono che per l’affluenza di tanti giovani all’Oratorio di Don Bosco – si era nel 1847 – venissero a perderci le parrocchie. Il vescovo allora definì l’Oratorio “La parrocchia dei fanciulli abbandonati”.
Quando il Santo fondò la compagnia di San Luigi, l’arcivescovo, oltre ad approvarla volle essere il primo socio. Quando dal primo Oratorio se ne fondarono altri due, quello di San Luigi Porta Nuova (1847) e quello dell’Angelo Custode in Vanchiglia (1849), l’arcivescovo continuò la sua protezione. Per evitare altre intromissioni e noie all’opera del Santo, con decreto del 31 Marzo 1852 nominò Don Bosco “ direttore capo spirituale dei tre Oratori concedendogli inoltre tutte le facoltà che fossero tornate utili o necessarie”.
Oltre all’Oratorio Don Bosco aveva fondato un ospizio per dare ricovero ai giovanetti orfani, poveri. Ed ecco Mons. Fransoni e don Cafasso animano Don Bosco a fondare una congregazione religiosa sostenendolo contro quanti lo invitavano alla prudenza. L’arcivescovo gli preparò una raccomandazione che Don Bosco, nel 1858, presentò a Pio IX. Secondo il biografo Don Lemoyne, letta la raccomandazione dell’intrepido esiliato, il papa esclamò soddisfatto: “Si vede che andiamo tutti e tre d’accordo!”. Quindi esortò Don Bosco a preparare le regole secondo lo spirito di San Francesco di Sales. E gli diede importanti suggerimenti Mons. Fransoni all’incoraggiamento e ai consigli aggiunse anche aiuto in denaro dai suoi risparmi, dal momento che il governo piemontese l’aveva privato della mensa episcopale.
E Don Bosco cosa fece per il suo arcivescovo?
Gli era così affezionato che si era dichiarato pronto a sospendere l’Opera degli Oratori, se Mons. Fransoni l’avesse comandato. E il vescovo sapeva che poteva contare su Don Bosco … e gli affidò missioni delicate e difficili. Ne ricordiamo una: fare arrivare ai parroci una lettera pastorale confidenziale, contenete le norme da seguire tra le tante lotte che dovevano sostenere per la verità e la giustizia. La Lettera, intercettata, fu sequestrata dal Ministero e provocò a Don Bosco una perquisizione domiciliare (1859). Fu l’inizio di vessazioni politiche, le quali per altro non approdarono a nulla.
Il seminario di Giaveno languiva ed ecco Mons. Fransoni ne affidò la direzione a Don Bosco che lo riportò a 240 allievi. Dal 1860 al 1861 in due anni il Santo riportò il seminario all’antico splendore. Lieto di vederlo ben avviato, lo riconsegnò alla diocesi.
Fu il primo saggio del sistema preventivo dato fuori dell’Oratorio!
Don Bosco è legato a Mons. Fransoni per 30 anni: dall’ingresso in seminario all’ordinazione sacerdotale, dalla fondazione dell’Oratorio e al suoi consolidamento fino al 1862, anno della morte del vescovo in esilio.
La memoria di Mons. Fansoni sarà sempre venerata dai Salesiani e il suo nome rispettato con lode in ogni parte della terra dove sarà ricordato Don Bosco. “Se questi riuscì nel fondare le sue opere – scrive il biografo- è al Santo arcivescovo che va attribuito il merito specialissimo: egli fu il consigliere, il difensore, il benefattore, il padre.”(3)
2.2. Il cardinale Gaetano Alimonda
Il cardinale Alimonda arcivescovo di Torino fu il più bel regalo che Leone XIII potesse fare a Don Bosco ormai stanco e vicino al tramonto. Furono anni di conforto e di appoggio all’Opera del Santo quelli vissuti dal 1883 al 1888 dal Santo.
Gaetano Alimonda nasce a Genova nel 1818 . Entrato in seminario si distinse fra i compagni per studio, ingegno e pietà. Nel corso teologico fu allievo di Mons. Magnasco . Ordinato sacerdote percorse in breve i gradi della gerarchia: rettore del Seminario, Canonico Prevosto della Cattedrale e nel 1879 vescovo di Albenga. Fatto cardinale da Leone XIII fu chiamato a Roma, ove rimase quattro anni. Nel 1883 fu nominato, arcivescovo di Torino, succedendo a Mons. Lorenzo Gastaldi. In una lettera del 31 luglio 1883 Don Bosco scriveva: “Farà epoca la sua elezione nella storia di questa nostra archidiocesi”.
Il cardinale Alimonda fu l’uomo che la Provvidenza metteva a fianco di Don Bosco, perché uscito fuori dal pelago alla riva dalle lotte col predecessore fosse il consolatore e il sostenitore degli ultimi anni del Santo, affranto più che dall’età dai travagli.
Incontro con Don Bosco
Ne abbiamo già parlato altrove. Aggiungiamo quanto scrive il biografo. Nel viaggio di ritorno dalla passeggiata a Genova con i suoi giovani, il 7ottobre del 1864, Don Bosco a Gavi incontra il canonico Alimonda che volle offrire il pranzo ai giovani. Verso sera il Santo partì a cavallo verso Mornese. Il canonico voleva ancora rivederlo e cercò di raggiungerlo, ma non ci riuscì per la notte sopraggiunta. Tornando a casa disse a don Cagliero: “ Oh! Lo vedrò ancora quell’uomo provvidenziale! Solo le montagne non si incontrano”.(4) E fu profeta!
L’amicizia così cominciata continuò intensificandosi sempre più fino alla fine dei giorni del Santo. Da vescovo di Albenga, nel 1878, visitò la prima volta Valdocco, ripartendone con segni di visibile soddisfazione. L’anno dopo ad Alassio, nel collegio salesiano, ebbe per don Bosco forti espressioni di amicizia. (5)
Una volta cardinale, a Roma (5/4/1880) si gloriò di appartenere ai Cooperatori Salesiani. Assisté don Bosco in varie faccende con i dicasteri romani, specie per l’erezione a Vicariato Apostolico in Patagonia. Fu in quell’occasione che disse a don Berto, segretario di Don Bosco: “Felice lei che sta con un uomo che è proprio un santo”. (6)
Cardinale di Torino
Nel 1883, il 9 maggio, il cardinale fu preconizzato arcivescovo di Torino. Il Corriere della Sera del 20-21 dello stesso mese lo attaccò e con lui anche i Teologo Margotti e don Bosco. La Gazzetta del popolo criticò con espressioni malevole la prima lettera pastorale del cardinale. Allora il salesiano Don Bonetti diffuse un opuscolo, Un moscerino e un’Aquila . Ne furono distribuite gratuitamente 100.000 copie per cui il moscerino – nonostante una tentata replica – ne uscì malconcio. La Gazzetta del Popolo , con ingiuriosa allusione a don Bosco, chiamò boschivo il libercolo e boschivo avvocato don Bonetti. (7)
Solenni accoglienze erano preparate per il suo ingresso in Torino, ma nonostante la presa di posizione del sindaco Di Sambuy per il fracasso degli anticlericali, il cardinale “come padre spirituale di tutti i Torinesi, anche di quelli, se ve ne sono, che non mi accettano” (8) volle entrare privatamente il 18 novembre 1883.
Don Bosco fu tra i primi a visitare il cardinale e ne ricevette “parole improntate della più squisita benevolenza”. (9) Sua eminenza diede prova di fiducia a Don Bosco facendo stampare nella tipografia salesiana le sue opere … Ma come arcivescovo non aveva ancora visitato l’Oratorio. Ed ecco come avvenne. Il Santo aveva mandato in arcivescovado a domandare se sua Eminenza potesse accordargli udienza. Il cardinale fece dire: “ Riferite a Don Bosco che tra poco risponderò”. Il messo era appena arrivato in tempo a fare l’ambasciata che una carrozza si fermò alla porta dell’Oratorio e scese il cardinale, “Per fare più presto sono venuto io stesso a portare la risposta a Don Bosco”. E per più di un’ora si trattenne col Santo. Era passato il tempo in cui Don Bosco andava in arcivescovado e, dopo ore di attesa, non era ricevuto!
Nel frattempo superiori ed alunni prepararono un gran ricevimento con canti e musica.
L’unione perfetta fra Don Bosco e il suo arcivescovo si vide ancora meglio nella festa di San Francesco di Sales del 1884. Sua Eminenza volle passare l’intera giornata a Valdocco. Era la prima volta che ciò accadeva. “Ogni momento di questa giornata è stato per me una gioia e un trionfo” disse il cardinale prima di partire. Per Don Bosco fu un conforto da anni non più provato così grande. Scrive il Bollettino Salesiano: “Don Bosco e parecchi dei suoi primi allievi parvero ringiovanire. Sembrava di essere ritornati a quei bei giorni quando avevano la beata sorte della presenza dell’arcivescovo Mons. Fransoni, altrettanto amorevole verso i fanciulli dell’Oratorio e la gioventù in generale, quanto coraggioso ed intrepido nei suoi doveri contro i nemici di Dio. Quell’illustre prelato … avrà in quel giorno a noi sorriso dal cielo ed esultato nel vedere un suo degno successore, e pur suo concittadino genovese, seguire le antiche orme … “. (10)
Negli ultimi giorni di vita del Santo, il cardinale gli fu costantemente vicino e, nell’ultima visita, nel congedarsi, lo abbracciò con trasporto. Ai funerali di trigesima, celebrati il 1 marzo 1888, l’arcivescovo tenne l’orazione funebre “Don Bosco e il suo secolo” che è tutto un inno di amore e di gloria per il fondatore della Congregazione salesiana. Dei tanti attestati di stima e di affetto dati al Santo, quello del cardinale Alimonda è sicuramente il più notevole
2.3 Monsignor Salvatore Magnasco
Nella cronaca della casa di Sampierdarena, alla morte di Mos. Magnasco (11 gennaio 1892) leggiamo: “ .. Né con l’andare del tempo si raffreddò in lui (Magnasco) l’affetto, ché ogni anno offriva lire duemila per i nostri giovanetti; e poco prima di morire faceva un dolce rimprovero al nostro buon direttore perché da circa tre mesi non era stato da lui a ricevere il suo obolo e si protestò di voler essere Cooperatore fino alla morte . Cosicché l’Ospizio deve collocarlo fra i suoi più grandi benefattori e considerarlo quasi secondo fondatore”.
Ci sarebbe da chiedersi in verità: senza l’aiuto di Mons. Magnasco, il complesso dell’Opera di Sampierdarena avrebbe avuto quell’inizio e quello sviluppo … ancora in corso?
Salvatore Magasco nacque a Genova nel 1806 . Giovanetto entrò in seminario ed ebbe come guida Sant’Antonio Maria Gianelli e compagno il venerabile Giuseppe Frassinetti. Laureatosi in Teologia, nel 1828 fu ordinato sacerdote. Fu arciprete di Montoggio, a Sestri Ponente rettore del seminario Virgo Potens. Nel 1868 viene consacrato vescovo e dato come ausiliare dell’arcivescovo Andrea Charvaz.
Come incontrò don Bosco?
Quando Mons. Charvaz, nel 1869, rinunziò alla sede di Genova, Mons. Magnasco, fu vicario capitolare e in quella posizione partecipò al Concilio Vaticano I. e, nel 871, finalmente Pio IX lo nominò arcivescovo di Genova.
Mentre la Provvidenza permetteva che Don B osco a Torino trovasse una grossa croce nel periodo più laborioso della sua vita, a Genova gli faceva trovare in Mons. Magnasco un sostegno “inatteso”.
Quando Don Bosco conobbe Mons. Magnasco?
L’ipotesi che il Santo avesse conosciuto Magnasco insieme al Frassinetti nelle sue visite a Genova prima della fondazione dell’Ospizio San Vincenzo de’ Paaoli nella zona di Marassi, si può accettare. Ma il Lemoyne – la nostra fonte – preciso nel citare il nome dei sacerdoti che il Santo avvicinava , non cita mai Magnasco. Anche se Don Bosco non avesse mai avuto contatti con Lui, già allora vescovo ausiliare e vicario Capitolare, le cose potrebbero essere andate in questo modo. Da mesi Don Bosco , intermediario tra Pio IX e il governo italiano, si occupava delle sedi vescovili vacanti.
In agosto del 1871 il Santo si era ritirato a Nizza Monferrato in una villa della Contessa Corsi, zelante cooperatrice salesiana . Là ebbe consultazioni con distinti sacerdoti da Lui invitati dal Piemonte, Lombardia, Liguria, Sardegna e da altre regioni. Il biografo nota che un giorno si trovavano a pranzo 18 vicari Generali e Capitolari. Da ciò è facile arguire che anche per Genova abbia avuti tutti gli elementi informativi per poi decidere in piena libertà di scelta come gli era stato accordato da Pio IX.
L’8 settembre di quell’anno , l’On Lanza Ministro degli Interni, a mezzo del prefetto di Torino, inviava al Santo un telegramma confidenziale perché si recasse “al più presto a Firenze per conferire sopra affare a lui noto”. Don Bosco aveva preparato una lista di 18 candidati. L’11 fu a Firenze e, dopo aver trattato col ministro Lanza, proseguì per Roma. Andò subito da Pio IX che approvò la lista. Ma chiese: “E per Genova? Il Santo trasse due plichi. “Qui – disse – dandone uno a Pio IX – vi è Mons. Magnasco di cui si fanno grandi elogi per il suo zelo, mentre i tristi scrissero di lui molte lettere , accusandolo di non approvare lo stato attuale delle cose in Italia, dicendolo troppo ligio al Papa e alla Chiesa (11) Qui – e don Bosco porse a sua Santità l’altro fascio di carte – vi è il tal dei tali di cui si fanno elogi sperticati, ma a me fu detto che non li merita.
Il Papa fece chiamare il cardinale Antonelli, segretario di Stato. Questi pressato da udienze non poté sul momento. Po IX voleva che sentisse tutte le informazioni anche sul secondo dei proposti. Allora il Papa, fatto chiamare uno dei prelati in anticamera, gli disse: Scrivete: Mons. Magnasco arcivescovo di Genova”.
Don Bosco fu poi a Firenze per sondare le intenzioni del governo. Dopo parecchie tergiversazioni sul nome degli eletti, il Santo comunicò la decisione di nulla mutare di quanto era stato stabilito e presenta la lista. Giunti al nome di Mons. Magnasco dissero che erano pervenute al Ministero lettere dal Municipio e dalla prefettura di Genova che lo dicevano tutto … papista.” (12)
Affetto e appoggio di Mons. Magnasco a Don Bosco
Ne abbiamo parlato in altro capitolo. Ricordo solo tre iniziative che, per la loro importanza e per lo sviluppo, oltrepassarono i confini della diocesi e furono e sono parte principale dell’attività salesiana: L’Opera dei Salesiani Cooperatori, il Bollettino Salesiano e l’Opera dei Figli di Maria per le vocazioni ecclesiastiche. Il Santo, che per il successo di queste iniziative aveva incontrato gravi difficoltà, trovò nell’arcivescovo Magnasco un intuito quasi soprannaturale nel favorirle e nel difenderle. Già nel 1873 si era reso benemerito di Don Bosco, dandogli un’ampia e lusinghiera raccomandazione per l’approvazione definitiva delle Regole della Società Salesiana, avendone sperimentato lui stesso – come scrisse – tutta l’utilità nella sua diocesi.
Quanto al Bollettino Salesiano, Don Bosco non riusciva ad ottenere dalla curia torinese il permesso di stampa. Ad intercedere per lui venne Mons. Magnasco che volentieri concesse l’imprimatur prescritto. Fu così che il primo numero del Bollettino Salesiano uscì nel 1878 dalla tipografia dell’Ospizio di San Vincenzo de’ Paoli di Sampierdarena.
Ai Cooperatori Don Bosco pensò fin dall’inizio dell’Oratorio. Fondata la Società Salesiana nel 1859, pensò ad istituire l’Associazione dei Cooperatori. Essi ebbero la prima approvazione da PIO IX nel 1875. L’anno dopo vu emesso un Breve di approvazione definitiva con i favori spirituali agli ascritti. Un opuscolo in bozze fu mandato in curia a Torino per l’approvazione arcivescovile. Di qui una vertenza incresciosa. Il Breve in qualche diocesi fu contestato e Torino andò oltre dichiarando anormale la pubblicazione di indulgenze sul Bollettino Salesiano. Intervenne Mons. Magnasco che mise fuori dubbio l’autenticità del Breve e la normalità delle indulgenze pubblicate. Egli si sentì chiamato in causa perché il Bollettino Salesiano si stampava a Sampierdarena. Leone XIII infine nel 16 marzo 1878 benedisse, encomiò i Cooperatori e consentì che il suo nome fosse capolista.
I figli di Maria per le vocazioni allo stato ecclesiastico
Don Bosco fu un grande apostolo delle vocazioni ecclesiastiche. Dare sacerdoti alla Chiesa la ritenne una missione per sé e per i suoi figli. La coltivò sempre con cura e sacrifici non comuni. Il movente Don Bosco lo trovò nel coltivare quelli che per l’età avanzata, pur avendo fermo desiderio di diventare sacerdoti, non potevano accompagnarsi nei seminari e nelle scuole con i piccoli.
Forse il nostro padre pensava alla sua esperienza in seminario: un gigante tra nani! Nel 1875, il Santo ne parlò con Pio IX che, rimasto molto soddisfatto, l’approvò e lo consigliò di procurarsi le commendatizie di alcuni vescovi. Il Santo, fatto conoscere il programma, ne ebbe dodici. Fra questi più illuminati che intuivano l’utilità e la santità dell’Opera, vi fu Mons. Magnasco. Egli ne sperava – scrisse nella Lettera al Santo Padre del 18 aprile 1875 –“grande utilità alla Chiesa” data lo scarseggiare del clero. Don Bosco si consultò con Mons. Magnasco e con la sua approvazione decise di dare vita all’Opera a Sampierdarena. E l’Opera cominciò nell’anno scolastico 1875-76 sotto la direzione di Don Albera.
Che fosse un’opera voluta da Dio lo provano le meravigliose vocazioni uscite dai Figli di Maria: don Filippo Rinaldi, il terzo successore di Don Bosco, don Michele Unia e don Raffaele Crippa, apostoli dei lebbrosi in Columbia. Lo provano i numerosi sacerdoti forniti alla Società salesiana e a molte diocesi d’Italia.
Nel 1897 – si legge in Don Bosco e Genova 1871 – 1971 ad opera degli ex allievi – erano 300 i sacerdoti appartenenti alle varie diocesi, del Piemonte, della Lombardia e specialmente di Genova e della Liguria.
3. Giovanni Battista Lemoyne: il primo genovese salesiano
Non potevamo tacere del biografo da cui abbiamo attinto tante informazioni.
Entrato in seminario Giovanni Battista compie brillantemente gli studi di teologia e nel 1862 è ordinato presbitero. Lo attraeva uno stato di vita più perfetto, ma non sapeva a quale congregazione rivolgersi.
Incontra Don Bosco
Preparato da un avvenimento che sa di soprannaturale, incontra Don Bosco presso Ovada, ottobre 1864. Una mattina sul destarsi sentì una voce che gli diceva: “Va’ a Lerma e troverai Don Bosco. Gian Battista Lemoyne si trovava a Belforte presso Ovada che dista un’ora di strada. Era attratto da uno stato di vita più perfetto ma non sapeva a quale congregazione rivolgersi. Celebrò la Santa Messa con questo pensiero nel cuore, ma temendo che il sogno fosse effetto di fantasia, partecipò la cosa al marchesino Carlo Cattaneo, che gli disse: Sogno o non sogno, andiamo a Lerma e interroghiamo il parroco. Andarono , trovarono Don Bosco.
Il Santo fissò don Lemoyne amorevolmente, gli domandò il nome, il paese; quindi gli disse: “Ebbene venga con me a Torino” Perché no? – egli rispose conquistato da tanta bontà. Quel giorno Don Bosco s’intrattenne a lungo con don Lemoyne che era incantato nell’ascoltarlo. Ad un tratto disse al Santo: – Io verrei tanto volentieri a Torino , se lei mi accetta . – E con quale intenzione verrebbe? – Con quella di aiutarlo in quel poco che posso – No – ammonì don Bosco – le opere del Signore non hanno bisogno dell’aiuto degli uomini –Ebbene , verrò , mi dica Lei ciò che dovrò fare. –Venga unicamente per fare del bene all’anima sua. –Ed io farò così.
Da Lerma don Lemoyne accompagnò il Santo che ritornava a Mornese e per un’ora e mezzo gli parlò dei suoi progetti, della sua vita del suo avvenire. “Fu una passeggiata indimenticabile – commenta il biografo che scrive di se stesso. L’indomani il Santo con la sua carovana di giovani s’allontanò da Mornese per Capriata fino al bivio Gavi – Montaldo. Qui nel congedarlo Don Bosco gli disse sorridendo: “Mi permette che le dia del tu? –Sì, sì! Mi tratti come un figlio. Fra poco sarò da Lei. Il dialogo descritto, così carico di particolari è desunto dalle Memorie Biografiche e la penna è di don Lemoyne . Il giovane sacerdote si recò all’Oratorio, ove visse, fedelissimo al Santo, sino ala morte.(13)
Salesiano
Il 10 novembre terminato l’anno di noviziato, emise la professione perpetua nelle man i di Don Bosco. Aderì con tanto affetto al Santo, che all’Oratorio apparve subito conoscitore ed imitatore perfetto del suo spirito, come se fosse cresciuto ed educato alla sua scuola. Fin dagli anni giovanili. Don Albera scrive nella lettera mortuaria : “Sempre l’occhio fisso a Don Bosco ne succhiava lo spirito nel coltivare e dirigere le anime dei giovani, nella fine prudenza per il disbrigo degli affari più importanti”.
E’ il primo salesiano professo perpetuo, dopo don Alasonatti. E’ il primo sacerdote genovese. Per sei anni segretario del Santo.
Biografo di Don Bosco
Si accinse al lavoro di raccolta e sistemazione del materiale riguardante il Santo che un girono gli aveva detto: “Io non avrò segreti per te, né quelli del mio cuore, né quelli della Congregazione”.
Don Lemoyne intuì al volo e da allora si mise con zelo a raccogliere le confidenze di Don Bosco e dei suoi stretti collaboratori, annotando giorno per giorno con estrema diligenza tutto quanto accadeva fra le mura di Valdocco consultando quanti avessero avuto contatti col Santo. Dal 1864 anno del suo ingresso a Torino, aveva cominciato a registrare quanto gli pareva degno di ricordo di Don Bosco. Ed ecco i 19 volumi delle Memorie Biografiche, i primi otto pubblicati dallo stesso Lamoyne tra il 1889 e il 1912, gli altri dai suoi continuatori Don Amedei e Don Ceria che lavorarono sul materiale approntato da Lui. Fortunato biografo del Santo che per 23 anni fu tra i suoi più intimi … e negli ultimi sei anni gli visse sempre accanto. Poté controllare la tradizione ancora viva attorno a Don Bosco consultandolo di persona. (13)
Una sera d’inverno don Bosco lo accolse in silenzio. Don Lemoyne rimase seduto accanto a Lui più di mezz’ora.
–Don Lemoyne sei qui? Si, Signor Don Bosco. E il Santo quasi marcando le parole, lentamente continuò: Tu vivrai … lunga vita. -Tante grazie.
E tornarono a tacere entrambi. Negli ultimi giorni di sua vita, Don Lemoyne, a un confratello partecipe della profezia di Don Bosco, disse: ”Ormai ho 77 anni, ti pare che sia una lunga vita?”
Col desiderio del Paradiso nel cuore e col nome di Don Bosco sulle labbra, volò al cielo il 14 settembre 1916, festa dell’esaltazione della Croce.
Don Alberto
NOTE
1. Eco di Don Bosco n. 2 – 1987
2. Lemoyne I 42
3. Lemoyne, VII,579
4. Lemoyne , VII,579
5.Alimonda, IL mio episcopato, II pag. 444, Torino. Tipografia salesiana 6.Ceria,XCI, 470)
7.Ceria, XVI ,360)
8. Ceria, XVI, 362)
9.Bollettino Salesiano febbraio 1884
10.Bollettino Salesiano febbraio 1884
11.Lemoyne –Amidei X, 412
12. Lemoyne –Amidei X, 444
13. MB VII, 768