L’ECO DI DON BOSCO N. 4/2021 – ANNO CIV

L’ECO DI DON BOSCO N. 4/2021 – ANNO CIV

A Sampierdarena “si respira” la santità di Don Bosco

1. Tutto richiama al Santo

Dalla mia finestra al quarto piano vedo i cortili in erba sintetica, ora, in tempo del coronavirus, piuttosto silenziosi. Alzo lo sguardo e incrocio lo splendido campanile costruito nel 1885. Don Bosco lo volle alto e per lungo tempo fu la costruzione più alta di Sampierdarena (51 metri). Ultimo lembo d’Italia per i missionari che partivano via mare verso il nuovo mondo. Le bombe del 1943 che ridussero la chiesa in macerie lo risparmiarono. Custode della chiesa, ricostruita nel 1955 e restaurata nell’interno nel 2014, vigila sulla cameretta ove il Buon Padre soggiornò per 169 giorni dal1872 al 1888. Fili invisibili sembrano collegare la grande statua di Don Bosco che domina il cortile dell’Oratorio e la statua della Vergine della torretta. Quante voci giovanili in questi 150 anni hanno rallegrato i cortili sassosi, ora in erba sintetica! A quelle voci s’accompagna Il suono delle campane del bel campanile. Salutano i missionari in partenza per terre lontane. Esplodono nell’annunciare la canonizzazione di Don Bosco nel 1934. Gioiscono alla proclamazione della santità di un ragazzo, Domenico Savio, nel 1954. Annunciano la fine della guerra nel 1945, raccolgono il pianto della città al crollo del Ponte Morandi il 14 agosto del 2018 e la gioia di tutti noi all’inaugurazione del nuovo ponte San Giorgio il 3 agosto del 2020.

Il campanile ha anche pianto con rintocchi di mestizia il 31 gennaio del 1888, nel natale al cielo do Don Bosco, per la morte di don Ron e Don Cencini. Mesti rintocchi alla morte di Don Riccardo De Grandis, di don Giorgio Colajacomo vittima del Covid19 come alla morte dei confratelli salesiani in questi 150 anni di vita dell’Opera. Ultimi rintocchi tristi hanno accompagnato il funerale di Don Silvano Audano. Ma ora è triste anche per il silenzio de cortili imposto dal coronavirus. Nel tempo della ricostruzione della sua Chiesa il campanile fu spettatore di un’improvvisa crescita convulsa e divenne sempre più piccolo per i palazzi che crescevano attorno e nella collina.

Nella parte centrale dell’Opera, per chi entra da via don Bosco, dal 3 marzo 1955 campeggia sulla torretta la statua di Maria Ausiliatrice. Vede tutto e tutto benedice. Madre di coloro che si affacciano, di coloro che vivono al Don Bosco. Di notte con la sua luce veglia su noi tutti e ci protegge da ogni pericolo … A Lei ci affidiamo in questo tempo di pericolo del coronavirus. Tutto a Sampierdarena rimanda a Don Bosco. Segni visibili e memoria storica s’intrecciano. Ne ricordiamo alcuni di questi segni.

2. Cameretta di Don Bosco

Devotamente ben conservata era il centro delle attività di Don Bosco a Sampierdarena. Come a Valdocco le folle aspettavano per chiedergli un consiglio o una benedizione … e si ricordano anche prodigi del Buon Padre. In questa stanza il Santo cadde ammalato nella settimana Santa del 1878 per uno scoppio di febbri maligne. Fu un vero allarme in casa, a Torino. Giovani e Salesiani offrirono la loro esistenza pur di ottenere la guarigione del Santo. Molti migliorarono la loro condotta per essere più facilmente esauditi. Il Signore non rimase sordo a tante voci imploranti. Il 21 aprile, giorno di Pasqua, il buon Padre scese a pranzo con i suoi figli di Sampierdarena.

La sua fama era già così vasta che due signori si presentarono un giorno e offrirono una cospicua somma per gli orfani e per le Missioni. Un grave malore li tormentava ed ecco, dopo la benedizione, uscirono dalla stanza completamente guariti. Sempre in questa settimana di sofferenza ebbe luogo uno dei suoi famosi sogni di cui parleremo.

La cameretta diventava cappella quando il Santo per stanchezza, non poteva scendere, in San Gaetano, per celebrare. Ogni volta però, dopo breve ringraziamento, cominciava ricevere gente fino a mezzogiorno. Quella cameretta è oggi una reliquia per la casa di Sampierdarena.

3. Il sogno fatto a Sampierdarena

Durante i cinque giorni di malattia, dal 17 al 23 aprile del 1878, ebbe uno dei sogni profetici e ammonitori. Ecco il racconto che ne fa don Lemoyne, il primo sacerdote salesiano genovese. “Mi parve di trovarmi in mezzo ad una famiglia i cui membri avevano deciso di mettere a morte un gatto. Il giudizio e la sentenza era stata rimessa a Mons. Manacorda. Il vescovo però rifiutavasi, dicendo: “Che debbo io sapere del vostro gatto? Io non ho nulla a che vedere” E in quella casa regnava una grande confusine. Io stavo appoggiato a un bastoncello osservando, quand’ecco apparire un gatto nerastro coi peli irti che precipitava correndo verso la mia direzione.. Dietro di lui due grossi cagnacci inseguivano quel meschinello tutto spaventato, e sembrava che presto lo avrebbero raggiunto. Io vedendo passare poco lungi da me quel gatto, lo chiamai. L’animale parve esitare alquanto, ma avendo io replicato l’invito, alzando un poco i lembi della mia veste, corse ad appiattarsi ai miei piedi. Quei due cagnacci si fermarono di fronte a me, ringhiando cupamente – via di qua! – dissi loro – Lasciate in pace questo povero gatto … Allora con un mia grande meraviglia quelle bestiacce apersero la bocca e snodando la lingua presero a parlare in modo umano: No, mai – dicevano –Dobbiamo obbedire al nostro padrone e abbiamo l’ordine di uccidere questo gatto. – E con quale dritto? – Esso si è dato volontariamente al suo servizio. Il Padrone può disporre del suo schiavo. Qui noi abbiamo l’ordine di ucciderlo e lo uccideremo. – Il Padrone – risposi – ha diritto sulle opere del suo servo e non sulla vita; non permetterò mai che questo gatto venga ucciso. – Non lo permetterai tu? Tu? Ciò detto i due cani si lanciarono furiosamente per afferrare il gatto. Io alzai il bastone menando colpi disperati contro gli assalitori. – Olà gridavo – fermi! Indietro! Ma essi ora si avventavano, ora indietreggiavano e la lotta si prolungò per molto, in modo che io ero affranto dalla stanchezza. Avendomi i due cani dato un momento di tregua volli osservare il povero gatto che era ai miei piedi, ma con stupore lo vidi tramutato in agnellino. Mentre pensavo a quel fenomeno, mi rivolgo ai due cani. Essi pure avevano cambiato forma: apparivano due orsi feroci, poi cambiando sempre aspetto, parevano prima tigri, poi leoni, quindi scimmioni. Finalmente assunsero figura di due orrendi demoni: “ Lucifero è il nostro padrone, gridavano, colui che tu proteggi si è dato a lui, quindi dobbiamo a lui trascinarlo togliendogli la vita“. Mi volsi all’agnello, il quale più non vidi, ma al suo posto stava un povero giovinetto che, fuori di sé, andava ripetendo supplichevolmente: – Don Bosco, mi salvi! – Non aver paura – gli dissi. Hai proprio volontà di farti buono? -Sì, sì, Don Bosco, ma come ho da fare a salvarmi? -Non temere, inginocchiati: prendi nelle mani la medaglia della Madonna. Su prega con me. E il giovinetto si inginocchiò. I demoni avrebbero voluto appressarsi, io stavo in guardia con il bastone alzato, quando il coadiutore Enria che mi assisteva, vedendomi così agitato, mi svegliò e mi tolse di vedere il fine dell’avvenimento. Il giovanetto era uno di quelli da me conosciuto”.

4. Fiori di cielo nell’ ultima sosta a Sampierdarena

Nelle Memorie biografiche troviamo numerosi fatti o parole che riguardano le sue soste a Sampierdarena.

Tre avvenimenti straordinari accaddero nella sola giornata del 22 aprile 1887, l’ultima trascorsa a Sampierdarena … Un’ammalata trasportata all’Ospizio per ricevere la benedizione da don Bosco, guarì immediatamente.

Poco dopo, un tal Pittaluga Giuseppe riceve una grazia ancora più grande. Da trent’anni non si accostava ai sacramenti. Era ormai in fin di vita, ma non voleva saperne di sacramenti. I famigliari pieni di fede si raccomandarono a Don Bosco. Egli con la sua amabilità riuscì a fare deporre l’ostinazione dell’infermo … Lo confessò e gli amministrò il Sacro viatico.

Un giovane che era stato portato a Don Bosco l’anno precedente in pessime condizioni di salute, rimesso in perfetta efficienza fisica, veniva a ringraziare il Santo. Nel frattempo Don Bosco benediceva anche un altro ragazzo, discolo e disperazione dei genitori. Uscì dalla camera del Santo docile come un agnellino e pronto a rimettere la testa a posto … e così avvenne.

5. Un serto di grazie per Genova e dintorni

E’ il regalo del buon Padre per la sua diletta Genova: ricordiamo anzitutto la moltiplicazione della medaglia di Maria Ausiliatrice operato nella Basilica di San Siro, l’antica cattedrale della città. Il 13 marzo 1886, nel viaggio per la Spagna, si tenne nella Basilica di San Siro la seconda conferenza ai Cooperatori. Intervenne anche Mons. Magnasco. Avrebbe dovuto parlare Don Bosco, ma non poté perché affranto dalla fatica. Lo sostituì Don Francesco Cerruti, direttore delle scuole salesiane. Il Santo assistette in presbiterio. L’uditorio affollatissimo voleva vederlo. Al suo passaggio nella calca della gente rischiò di rimanere schiacciato. Scriveva don Giuseppe Lazzero, membro del capitolo superiore, in data 28 marzo: “La persona del nostro caro Don Bosco man mano che invecchia diventa sempre più preziosa. A Genova ove andò per la conferenza ai Cooperatori, non vi fu mai per Don Bosco tanto entusiasmo come quella volta; e non si dimostrarono mai così generosi, e fu la prova la colletta molto abbondante”. (1) Scrive a Don Rua un cooperatore di Vesima, presso Ge – Voltri: “ Ho passato un’ora di paradiso. L’amato Don Bosco pareva che i cooperatori e le cooperatrici, perdoni la frase, volessero mangiarselo. Tutti volevano vedere, parlargli, baciargli la mano. E Lui, il caro tutto ridente, a tutti dava ascolto e una buona parola di quelle parole che hanno un’arcana influenza sull’anima”. (2)

La moltiplicazione delle medaglie

Mentre riceveva la gente in sacrestia, accadde un fatto meraviglioso. Stava distribuendo le medaglie dell’Ausiliatrice. Quando non ne ebbe più, ne domandò a Don Belmonte, direttore dell’Ospizio di Sampierdarena. Gliene diede una quarantina, tutte quelle che aveva. La distribuzione ricominciò e il Santo ne porse a quanti stendevano la man sfilandogli davanti. Don Belmonte e Maurizio Dufour , che assistevano a lato, non potevano credere ai loro occhi. Le medaglie distribuite furono parecchie centinaia e forse un migliaio e forse più. La cosa non avrebbe potuto avvenire senza una moltiplicazione. (3) Nell’ultimo suo passaggio a Genova di ritorno da Roma, 21 aprile 1887, il Santo volle essere presente alla 3° conferenza che si teneva ai cooperatori in San Siro. Il cav. De Amicis, cooperatore salesiano, mandò la carrozza a prelevarlo a Sampierdarena. Lungo la via che scende a San Siro c’era una grande folla di persone. Anche questa volta la basilica sembrò piccola alla gente che premeva per un posto. Quando il Santo entrò nel presbiterio, un lieve mormorio di commozione corse la folla. La sua apparenza umile, stanca, sofferente suscitò un’ondata di commozione . Molti piangevano. Poco dopo arrivò Mons. Magnasco con molti sacerdoti. L’incontro tra i due fu cordialissimo . Salì sul pulpito Mons. Omidei Zorini, uno degli oratori più noti del tempo. Molto affezionato a don Bosco ne magnificò l’opera. Parlò dei danni arrecati dal terremoto alle case salesiane in Liguria. La raccolta fu abbondante. Il Santo, finita la cerimonia, impiegò un’ora la sacrestia, tante erano le persone attorno a lui. L’Eco d’Italia del valoroso Mons. Parodi, nell’editoriale del 22 aprile. così parlò di Don Bosco. “Tutti volevano sentire una sua parola, baciargli la mano o per lo meno la veste, ed egli abbondava a contentar tutti sorridendo tranquillo. Egli è un Santo si diceva da tutti”

A Camogli

Il 3 aprile del 1882 Don Bosco, nel viaggio verso Roma, dovette fermarsi a Camogli. Il Rettore del Santuario della Madonna del Boschetto, l’arciprete Don Piero Candia ed il Cav. Bozzo avevano disposto tutto per una conferenza salesiana: All’arrivo fu commosso da una scena graziosa. Un centinaio di ragazzi che si divertivano in riva al mare, appena lo videro sulla piazzetta lasciarono i loro giochi e gli si strinsero intorno a festa. Gli baciavano la mano, gli parlavano confidenzialmente. Molti gli domandavano la tradizionale “medaglietta”. I piccoli camogliesi sapevano chi era Don Bosco. Era conosciuto ed amato anche per opera di Don Luxardo, antico allievo del Santo e zelante cooperatore Salesiano. Tuttavia faceva meraviglia come quei bambini lo accompagnavano guardandolo estatici.

La conferenza fu rimandata a sera tarda per dare comodità alla popolazione di poter intervenire. L’ampia chiesa si riempì assai per tempo. Don Bosco dal pulpito ripeté le cose dette altrove, premesso un ampio elogio dell’arciprete e dei camogliesi per la loro fede e fattiva cooperazione salesiana. “Si vedeva che era commosso al mirare una folla di gente pendere dal suo labbro senza fiatare. Specialmente i ragazzi diedero segno di grande attenzione, rimanendo come incantati alle parole di Don Bosco”. (4 )

All’appello di Don Bosco la gente rispose con generosità … e l’entusiasmo dei camogliesi fu cosa più unica che rara. Don Berto, suo segretario, notò nel suo diario: ”Fu un vero trionfo della religione. Dappertutto dove Don Bosco passava era circondato e seguito da un’immensa schiera di ragazzi, ragazze, donne e uomini di ogni condizione desiderosi di ricevere la sua benedizione e dirgli una parola”. (Don Belmonte a don Sonetti, Camogli 4 aprile)

Tre grazie a Camogli

Maria Santissima si compiacque d operare a Camogli tre grazie, suggello divino di tanta fede e carità. Don Bosco visitò tre infermi: una donna ammalata ed un’altra tormentata dal ballo di San Vito e dichiarata incurabile, guarirono con una novena alla Madonna che il Santo ordinò loro di fare.

La signora Bono aveva le braccia paralizzate e non poteva fare nessun uso delle mani. Don Bosco le disse: “Fatevi il segno della croce” “impossibile” “Fatevi il segno della croce – insistette don Bosco “Non posso” replicò essa. Allora il Santo ordinò che le prendessero la destra e gliela portassero alla fronte, alle spalle e sul petto.. Ciò riuscì a perfezione. La donna riebbe l’articolazione libera delle braccia che conservò finché visse”. (5)

Don Alberto

Note: 1 . Ceria, XVIII, 42

2. Ceria, XVII,42

3. Ceria XVII, 43

4. Ceria XVII, 43

5. Ceria XV 524