L’ECO DI DON BOSCO N. 11/2021 – ANNO CIV

L’ECO DI DON BOSCO N. 11/2021 – ANNO CIV

Lo stile educativo salesiano

Partiamo con una testimonianza

Il clima che si respira nelle case dei Salesiani e delle FMA ce la descrive Mario Magonio, già ospite dell’Albergo del Fanciullo.

E’ la vicenda – scrive Sr. Sonia Baronti- (1) di un piccolo ospite dell’Albergo che, nonostante la sua infanzia difficile è riuscito a riscattare la propria vita, diventando tra l’altro un famoso marionettista, fondatore della “Compagnia Teatrale La Giostra” e del “Teatro Dialettale Genovese dei Burattini” Mario Magonio (1909-2009). Ci lascia una preziosa testimonianza della sua vita nel libro di Ulderico Munzi, II romanzo del Rex in cui racconta le sue esperienze di orfano di guerra, accolto in quattro diversi istituti per l’infanzia abbandonata, e poi quelle di operaio durante la costruzione e il varo del grande transatlantico nei Cantieri Ansaldo di Sestri Ponente:

«Sono venuto al mondo il 16 Dicembre 1909. Mio padre Giovanni Magonio, è morto mentre andava all’attacco con il moschetto 91 e la baionetta in canna assieme a tanta povera gente in grigioverde. È stato fulminato a Pangrande sul Piave (…) Ci ha lasciati soli, mia mamma Gemma, mia sorella Italia e io. Ha avuto una vita movimentata, la mia mamma non mi è stata mai accanto. E’ stata la nonna, la madre della mia mamma, che era slava, ad allevarmi. E poi, orfano di guerra, sono passato da un istituto all’altro. Vivevamo nel centro di Genova, a Vico tintoria, e io ogni sera morivo di paura. […]. Ho avuto ancora più paura quando sono arrivate le guardie regie. Sono scappato saltando dalla finestra, mi sono fatto male, ma sono riuscito a dileguarmi, con il cuore che batteva come un martello, nel buio di Genova. Non ho più visto la mia nonna. Sono finito in un istituto per bambini abbandonati di Sant’Oleose. Le suore erano perfide come streghe: mi chiudevano nella carbonaia per terrorizzarmi. L’incubo di Sant’Oleose si è concluso quando avevo sette anni e sono andato a scuola all’Albergo dei Fanciulli Umberto I. Stavolta ho trovato delle suore buone, le suore salesiane di Don Bosco, anche se i primi tempi avevo paura di guardarle in faccia temendo che potessero trasformarsi nelle streghe di Sant’Olcese. All’Albergo dei Fanciulli ho imparato ad amare la Madonna, ho trovato in lei una madre, anche se mi chiedevo sempre dove fosse la mia vera mamma, la mamma di carne, l’essere che mi aveva dato la vita. Un orfano non conosce frontiere di affetto: è sempre alla ricerca di un sorriso, di una carezza, di un gesto di benevolenza, di labbra che sfiorino la sua fronte. […] Ero un ragazzino che aveva sempre vissuto in collegio, che aveva appreso il mestiere di operaio specializzato all’Istituto Artigianelli di Don Montebruno».”

Il riconoscente ricordo per le FMA che lo curarono come un figlio compare anche nella sua autobiografia:

«Di quell’Istituto conservo un buon ricordo e anche ricordo la suora che fu la mia prima maestra. Pensare che, quando la Direttrice me la presentò ed io vidi che era una suora, abbassai il capo e non ebbi più il coraggio di alzarlo per la paura e per i brutti ricordi che le suore conosciute in precedenza mi avevano lasciato. Ma questa suora invece mi parlò molto dolcemente, passandomi una mano lieve sulla spalla e accarezzandomi i capelli. “Caro bambino – mi disse – questa è la tua nuova casa ed io sarò la tua nuova mamma’.’Alzai finalmente lo sguardo su di lei e vidi una donnina minuscola con due grandi occhi azzurri che la facevano assomigliare ad una bambola vestita da suora. La suorina continuava a sorridermi ed io, che non avrei mai creduto che una suora potesse essere così dolce, ero strabiliato e felice perché non mi era mai capitato di sentire tanto affetto in una persona». (2)

Nella casa salesiana, si respira il clima di famiglia che si fa accoglienza, tenerezza, bontà. E’ l’aria di casa che si respira nell’Ospizio voluto da Don Bosco nella zona di Marassi portato poi a Sampierdarena. Per dire che cosa sia il sistema preventivo di Don Bosco bisogna farne esperienza. Tentiamo di fare alcune considerazioni che trovano convalida anche nella esperienza personale fatta fin dagli anni della fanciullezza di chi scrive.

Metodo educativo di Don Bosco

Seguo il racconto che ne fa Don Miscio. Il metodo educativo di Don Bosco entra nei programmi scolastici degli istituti magistrali e quindi materia d’esame con la riforma Gentile del 1923. Don Bosco, amico di Ferrante Aporti e di Rosmini, era certamente dotto in pedagogia. Non volle tuttavia chiudersi in un sistema rigido. “Due sono i sistemi ogni tempo usati nell’educazione della gioventù: preventivo e repressivo”. Non vuole apparire nuovo per il sistema. Lo fu per il calore entusiastico con cui applicò quelle linee direttive, che si erano formate nel suo cuore e nella sua mente, nella modernità; per quel buonsenso e praticità del giovane sacerdote che si rivela profondo psicologo, educatore sommo. “Io sono stato mandato per i giovani”: ecco la mirabile affermazione di Don Bosco. Il libretto di don Fasce su Don Bosco educatore va nelle mani degli educatori e studiosi di pedagogia, spiega il sistema preventivo come l’intende Don Bosco.

Nell’attesa del 1929, l’anno della beatificazione di don Bosco, il suo nome corre per tutto il mondo, anche per merito dei suoi figli vivacissimi nell’organizzare feste in tutti i continenti.

Sampierdarena si vive un momento esaltante. L’Eco di Don Bosco riporta nel numero di marzo le parole del decreto di Pio XI che proclama l’autenticità dei miracoli avvenuti: “sono passati ormai 46 anni e ci pare ieri, anzi oggi, di vederlo: pur nella ressa delle sue vertiginose occupazioni mostrava una calma sovrana, un lusso di disponibilità di tempo da concedere a tutti, come se egli non avesse altro da fare. Chi avrebbe detto che dopo tanti anni dal principio del primo incontro avremmo fatto questo nuovo incontro egli agli inizi dei miracoli, noi nella solennità dei decreti”.

Nei primi cinque mesi del 1929 non c’è conferenziere cattolico che parlando non faccia entrare Don Bosco. A Sampierdarena ne parla Antonio Boggiano Pico, a conclusione della settimana del vangelo il 10 marzo. Filippo Crispolti parlando in molte parti, tratta della mediazione tra lo Stato e la Chiesa, ripresentando in modo rinnovato quanto aveva scritto nella vita di Don Bosco nel 1911. Il Provveditore agli Studi, Luigi Parmeggiani, un tifoso e un difensore del metodo educativo di Don Bosco, giunto nella sua nuova sede di Genova, ne fa oggetto di una conferenza. Essendo un’autorità tutti accorrono: docenti, maestri, impiegati, funzionari, autorità. Il Provveditore parla di Don Bosco. E un argomento che interessa … La riforma Gentile del 1923 nei programmi scolastici parla del metodo educativo di Don Bosco. Ispettrici ed ispettori scolastici sono tutti presenti.

Ecco il sistema di don Bosco: prevenzione e amore; repressivo e preventivo e pone in luce gli aspetti positivi di quest’ultimo. L’educatore che ama, ottiene confidenza e fiducia dall’allievo, ne ha in mano l’anima, che plasma istillandogli nobili ideali. La scuola italiana deve essere la scuola dell’amore. Il suo scopo non è solo istruire, ma nel formare caratteri saldi per la battaglia della vita. Grandi applausi per il Provveditore. Grande il nome di Don Bosco tra i presenti. (3) Don Bosco sarà beatificato in San Pietro il 2 giugno 1929.

L’ambiente educativo salesiano

In compagnia di Don Pascual Chavez tentiamo di delineare quel clima umano o ambiente, inteso come l’insieme di quegli elementi che, pur indefiniti, influiscono su ciascuno di noi. Qualcosa che si respira… è ‘lo spirto di famiglia’. In un’epoca di regolamenti, don Bosco pose in rilievo la spontaneità e lo spazio che si doveva lasciarle. In un’epoca di molti livelli di autorità, egli mise in evidenza la necessità della familiarità e del convivere con l’educando. Proprio perché l’educazione “era una questione del cuore”, una trasmissione vitale di valori, la creazione di un ecosistema dove si respira ottimismo e bene, ove circolano una serie di valori che configurano la personalità del giovane. Il nostro impegno, egli diceva, è far sì che il ragazzo arrivi ad essere così amico nostro che ci apra il cuore e che noi possiamo influire su di lui a partire dallo stesso centro della sua vita. (4)

E’ il clima che si vive a Sampierdarena come in ogni casa salesiana. Quel clima creato da Don Bosco a Valdocco arriva con don Albera e con gli altri ‘padri fondatori’ all’Opizio di San Vincenzo de’ Paoli fin dall’anno passato nella valle di Marassi. E’ il clima che si respira lungo tutto l’arco dei 150 anni. In novità di forme, è l’onda di festa che si vive nell’Estate Ragazzi ’21. Basta entrare all’Oratorio e ti vien incontro il cuore dell’esperienza che stanno vivendo 200 ragazzi: “Mi hai fatto come un prodigio” (Salmo 138). Girando poi a destra nei murales trovi ben descritto l’ambiente educativo: Casa che accoglie – Chiesa che evangelizza- scuola che avvia alla vita – cortile per incontrarsi … Il ragazzo scopre di essere un “prodigio del Signore” che deve a realizzarsi nella vita.

Dopo due anni del domino del virus che ha reso muti i cortili …fin dal 7,30 del mattino in questa estate il Don Bosco si riempie di voci di ragazzi che gridano la gioia di vivere.

Il segreto degli occhi di Don Bosco

Gli occhi di Don Bosco nella Torino del 1841-42 vedono ragazzi sfruttati, orfani e lontani dalla famiglia, a rischio di delinquenza. Ma dove gli altri vedono solo un problema da reprimere, egli coglie una risorsa da valorizzare … I lupi diventano agnelli. Qual è il segreto dei suoi occhi?

Ci risponde Eugenio Ceria nel suo libro Don Bosco con Dio. Nell’agosto del 1887 a Lanzo Torinese “Una figlia di Maria Ausiliatrice, bramosa di riceverne la benedizione e stanca di attendere nell’anticamera chi la introducesse dal Servo di Dio, sospinse leggermente la porta socchiusa dello studio di Don Bosco, e che vide? Il buon Padre nell’atteggiamento di persona estasiata in ascolto. Il viso trasfigurato da viva luce; la fisionomia soave e tranquilla; le braccia aperte verso l’alto e il capo accennante di tratto in tratto a fare di sì.

Viva Gesù! Padre, è permesso – disse ripetutamente la suora; ma egli nulla. Finalmente la scena durata non meno di dieci minuti, si chiuse con un segno di croce e con un inchino riverenziale indescrivibile. E’ da notare che Don Bosco in quell’anno mal si reggeva in piedi senza il braccio altrui; ed era sempre un po’ curvo; là invece stava con la persona eretta”.

In don Bosco ‘azione e contemplazione’ sono profondamente unite per cui vedeva i giovani con gli occhi di Dio! Con sue parole: “Basta che siate giovani perché vi ami assai” … “In ognuno di voi, anche il meno fortunato, c’è un punto accessibile al bene”. Dovere primo dell’educatore è cercare questo punto, questa corda sensibile e trarne profitto. E lascia ai suoi figli l’impegno di essere segni visibili dell’amore di Gesù per i giovani.

Note

1.Sonia Baronti, La presenza educativa delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Genova. Albergo dei Fanciulli e l’infanzia abbandonata, in Le Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia, Donne nell’educazione, a cura di Grazia Lo parco e Maria Teresa Spiga, Las 2011, pag.543

2. Magonio, Anche i burattini 7-8.cotato Da Sr Sonia Baronti pag. 544

3. Antonio Miscio, La seconda Valdocco, vol I. pòagg.444-447

4. Don Pascual Chavez, Educare oggi con lo stile di Don Bosco, articolo in Rivista “Il Tempietto” Genova e Don Bosco (n.17 pag. 67) 2014